Il Carnevale ad Amaseno, origini, storia e tradizioni

Dal professor Ernesto Mastropietro riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Come veniva celebrato il Carnevale nei nostri piccoli paeselli, come ad Amaseno? Non di certo come oggi. Da un ventennio il Carnevale si celebra con carri allegorici,
banda musicale, sfilata di majorettes, sbandieratori, abbondanza di coriandoli ,di costumi e di stelle filanti. Una volta il Carnevale si festeggiava in modo molto semplice e rozzo. Spesso il popolino si divertiva a prendere in giro questa o quella persona, a rievocare scandali, corna, furti e magagne. Non vi era una maschera tipica amasenese, c’era “gliu mmàscaro” e ognuno poteva essere “gliu mmascaro”: bastava vestirsi di stracci, mettersi in testa un fazzoletto, una maschera di cartone fatta in casa sul viso, più o meno orrida. Non mancavano il suonatore d’organetto e modesti balli nelle stalle. Si usava cantare anche una specie di nenia, con il seguente ritornello: “Carnuvalo, vécchio i pazzo, s’è vunnuto gliu catenaccio, i la mogli pu’ dispétto s’è vunnuto gliu scalalétto...” I giovani e i ragazzi si recavano da amici, da parenti, giravano di casa in casa, chiedendo qualche dolce e un po’ di vino annacquato. Le ragazze, in genere, non si mascheravano, ma era permesso loro giocare all’altalena, “assidivóci”, (seduti si dà la voce a chi è a terra, si strilla in allegria), dentro le stalle. Nella zona di San Pietro, ragazzi e ragazze giocavano all’altalena, “assidivόci”, attaccando delle corde alle travi di legno poste a piano terra del castello, “agliu scalóno”. Anche a Valleré ci si divertiva “assidivoci” nella stalla di Antonio Cipolla, padre di Tommasina Cipolla, con corde legate ad una trave. Si costumava iniziare le feste del Carnevale 10 – 15 giorni prima con balli e canti di stornelli nelle stalle, accompagnati da organetto e zampogna. Non mancava mai il ballo ciociaro, il saltarello a coppia o a gruppi da tre o cinque persone.
Intorno agli anni trenta ai balli tradizionali cominciarono a sostituirsi balli provenienti da paesi lontani, grazie alla radio che qualcuno possedeva, come il valzer, il tango e la polka. Qui è obbligo ricordare Mario Tabacchino, vero coreuta amante del folclore. Non mancava il burlone che girava per le case chiedendo qualcosa con “gliu rinàlo” in mano. Qualche giovane approfittava dell’occasione per vestire l’antico costume ciociaro paesano.
A Carnevale era obbligo mangiare “struffoli”, castagnole, chiacchiere o frappe, ‘sciambelle’, ciambelle, il brodo fatto con “gliu pèto du porco”, l’osso di prosciutto, che spesso le comari si prestavano per insaporire la pasta e fagioli; si mangiavano “fittuccine all’òva”, salsicce e altra carne di maiale. Il Carnevale terminava e termina ancora con un fantoccio, “Re Carnuvalo”, dato alle fiamme.
A Frosinone si brucia il generale francese Championnet, dopo averlo portato in trionfo sotto la minaccia della “radëca”. I nostri padri per il Carnevale giocavano con le ruzzole di formaggio e si divertivano con le gare dei cavalli o con le bufale.
Ad Amaseno, “Re Carnuvalo”, un fantoccio riempito di paglia e vestito di stracci, dopo aver fatto un giro trionfale per il paese cavalcando un asino, veniva portato in piazza e dato alle fiamme: era come bruciare, secondo antica tradizione, il vecchio anno e prepararsi a ricevere il nuovo anno ricco di promesse e di nuove speranze. Anche in campagna si festeggia il Carnevale. Nel passato con canti e balli sull’aia, l’organetto e il saltarello, fuochi, spari e “scazzuotti”, frappe, vino e gioco alla ruzzola.
Il Carnevale, anche se ha perso l’originalità e non è più legato a rituali atavici pregni di significato legati alla natura e alla vita dei campi, è ormai una festa diffusa in tutto il mondo, come pausa all’attività frenetica della vita moderna, con canti, balli e carri allegorici.

Ernesto Mastropietro

Etichette: ,